I comodi stereotipi sulla calabria e il buon giornalismo

Gazzetta del Sud
Un giornalista de “La Repubblica”, in una inchiesta pubblicata ieri, sceglie la città di Reggio Calabria come emblema di un Sud senza speranza. Il giornale titola in prima pagina “ La pax della ‘ndrangheta soffoca Reggio Calabria”; segue alle pagg. 20 e 21 con altro titolo di maniera “Il colosso ‘ndrangheta che soffoca Reggio”.
In prima pagina il sopra titolo recita “l’Antimafia demolita”, a pag. 20 invece: “eppure non si spara dal 91, nessuna denuncia per pizzo nel 2006”.
E allora cari Scopelliti, Lamberti, Caridi cosa pensate di fare candidandovi a sindaco, ormai nella “città il controllo è in mano ai clan più ricchi del mondo”; non ce n’è per nessuno.
A giustificazione della sua tesi egli fa nomi e cognomi:
Italo Falcomatà, quasi quasi, ha la colpa di essere morto di una grave malattia, e di non aver lasciato niente di buono in otto anni di carica, visto che la situazione dal 91 ad oggi sarebbe addirittura peggiorata; Peppe Scopelliti è colpevole di guidare una Giunta della restaurazione, come se fosse di per sé un delitto; Loiero, presidente della Regione, annuncia l’arrivo di dodici miliardi di euro europei ed egli ci ironizza sopra, come per dire: chi sa chi incasserà quella somma.
Poi canta le lodi di qualche magistrato, forse per mettersi la coscienza a posto e avverte che la ‘ndrangheta ha già incassato abbastanza con i fondi pubblici. Infatti i due grandi poli industriali (Liquichimica di Saline e Grandi Officine di riparazione) sono serviti a consegnare la città in mano alle cosche.
Meno male che la grande opera dell’attraversamento dello Stretto non si è avviata, perché altrimenti la stessa ‘ndrangheta avrebbe potuto fornire il terreno su cui costruire i piloni del ponte, con conseguente trasferimento di miliardi di euro direttamente nelle tasche degli uomini d’onore.
Questo terzo tesoro è sfuggito alla ‘ndrangheta per la fiera opposizione di un gruppo di reggini onesti, che sarebbero stati guidati dal mio buon amico Alessandro Bianchi. Io però confesso di non averlo mai saputo.
Infine la ‘ndrangheta controlla tutto a Reggio anche l’Antimafia.
Sembra il canovaccio di un film sulla Chicago degli anni venti e della Brooklyn del Padrino. Ritengo di sapere cosa sia una inchiesta giornalistica: cioè uno scritto basato su dati certi, su notizie verificate con il controllo delle fonti. Nello scritto de “La Repubblica” non vi è traccia di tutto questo.
Ma se è così non c’è nulla di che preoccuparsi, perché si tratta di qualunquismo e basta.
Quell’inviato ha sorvolato infatti sul grande lavoro svolto dalle Forze dell’ordine e sui risultati ottenuti dal Ministero dell’Interno, che ha messo a disposizione un servitore dello Stato di prestigio come il super Prefetto e un valente vice Ministro.
Riletto il testo, però, un giornalista serio dovrebbe provare un po’ di vergogna e per fare autocritica dovrebbe riscriverlo, basandosi su dati veri con il controllo delle fonti.
Forse questa è una mia illusione, in quanto una inchiesta così non verrebbe pubblicata perché non richiama l’attenzione di nessuno, tanto più di lettori resi avvezzi a consumare notizie eclatanti; se poi sono vere o false non importerebbe praticamente a nessuno.

on. Aurelio Misiti
deputato di Italia dei Valori
www.aureliomisiti.it



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