"Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" (1386)

17 luglio 2008

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, per la verità, per quanto concerne questa manovra, intervengo su un testo che, evidentemente, è superato, perché siamo di fronte ad una manovra in evoluzione.
È chiaro che tutti noi possiamo pensare che questo cosiddetto maxiemendamento contenga al suo interno la maggior parte degli argomenti che conosciamo, ma, non conoscendo il testo, dobbiamo intervenire, evidentemente, su questioni che potrebbero non essere comprese all’interno del testo finale che voteremo. Ci scuseranno, quindi, coloro i quali ci ascoltano, quelli che ci vedono sul canale satellitare, e quanti, evidentemente, possono considerare che in questo Parlamento, in questo momento, non facciamo altro che dilettarci, discutere, scherzare su questioni che non sono reali.
Intanto, è chiaro che il primo articolo riguarda gli obiettivi. Siamo di fronte ad una manovra triennale (questo rimarrà certamente nel testo finale): per il primo anno è prevista una manovra piccola, per il secondo anno una media e per il terzo anno una grande.
Mi dispiace che coloro i quali hanno illustrato questa manovra in questo periodo, anche il Governo, che spesso ne ha parlato nelle Commissioni, non abbiano messo in evidenza che la manovra leggera di questo primo anno è possibile esclusivamente perché c’è stata l’azione assolutamente positiva delle due manovre precedenti, in particolare la prima, che hanno portato i nostri conti in ordine; tanto è vero che, dalla procedura di infrazione, che era stata aperta prima del Governo Prodi, siamo passati alla sua cancellazione, proprio in base ai provvedimenti inseriti nelle due finanziarie del Governo Prodi.
Questa manovra leggera del primo anno, quindi, può essere considerata proprio un effetto positivo di quell’azione precedente; questo andrebbe riconosciuto, perché è chiaro che c’è una continuità nelle decisioni finanziarie più importanti. Naturalmente, è così possibile continuare la riduzione del rapporto tra debito e PIL.
E speriamo che venga mantenuto, perché è chiaro che se riuscissimo a passare in un triennio dal 103,8 per cento al 97,2 per cento scenderemmo sotto la soglia psicologica del 100 per cento e ci avvieremo verso un periodo migliore, che speriamo si possa concludere con l’inserimento del nostro Paese nel novero dei Paesi che hanno un rapporto deficit-PIL comparabile, intorno al 50-60 per cento. Ma mi domando: per fare un’operazione di questo genere c’era bisogno di un decreto-legge? Credo che non ce ne fosse bisogno affatto. Ci troviamo di fronte ad un argomento che poteva essere trattato in altro modo. Anzi, trattandosi di un piano triennale, mi sembra un’assurdità predisporlo tramite decreto-legge: è proprio assurdo il fatto che una manovra che riguarda un periodo di tre anni si debba fare in fretta e furia, addirittura approvandola in dieci minuti da parte del Consiglio dei Ministri, senza un approfondimento reale, senza la collaborazione delle forze parlamentari, senza un confronto con l’opposizione parlamentare. Soprattutto in queste delicate materie il confronto è necessario e indispensabile, perché si tratta di questioni vitali per il nostro Paese, da oggi e per tre anni.
È stato certamente un peccato, perché noi avremmo potuto collaborare, dare un sostegno ed apportare dei miglioramenti. Ad esempio, in ordine all’articolo 2, quello che riguarda le telecomunicazioni e la DIA per la banda larga, si poteva, con una buona discussione, migliorare quel testo e magari votarlo, perché credo che sia necessaria la massima diffusione di questo strumento fondamentale, di questa attività fondamentale in tutto il Paese; soprattutto per le regioni meridionali sarebbe stato un fatto estremamente positivo se il testo fosse stato migliorato, perché così com’è scritto probabilmente incontrerà difficoltà enormi nella sua attuazione. Non sono certamente uguali le richieste per effettuare lavori di telecomunicazione, quelle all’ufficio preposto del comune rispetto ad interventi che potrebbero avere una durata di tre anni alle richieste presentate nel campo delle costruzioni, dell’urbanistica e dell’attività di ristrutturazione degli appartamenti; non si può operare al riguardo un meccanico collegamento. Insomma, un impianto di telecomunicazioni non è come se si trattasse di una ristrutturazione di un bagno o di una camera da letto: è qualcosa che i comuni non conoscono, che gli impiegati dei piccoli comuni è difficile che conoscano. Avremmo potuto discutere come prevedere uffici unici nel territorio; altrimenti, si fa una legislazione che riguarda parti del Paese più fortunate, magari le città: non riguarda, invece, proprio quelle zone, quel territorio della nostra penisola che oggi versa in grave difficoltà. Proprio in questi giorni, prima che uscisse il testo della manovra, ho preparato delle interrogazioni proprio per l’estensione dell’ADSL, per l’estensione della banda larga in alcuni comuni del Mezzogiorno dove non arriva ancora.
Questo sarebbe stato certamente un aspetto che avremmo potuto migliorare e votare; non lo possiamo fare, però, proprio perché è stato predisposto questo decreto-legge sul quale il Governo ha scelto di porre la questione di fiducia: dunque, nessun emendamento, nessun cambiamento e una collaborazione scarsissima. Anche in questo caso, dunque, davvero non vedo l’urgenza di trattare un argomento così importante – quello della diffusione delle telecomunicazioni nel nostro Paese – che viene affrontato in modo arronzato, superficiale e senza il necessario approfondimento, senza quella discussione e quel contributo che sarebbe potuto venire non solo da noi, ma anche dagli stessi banchi della maggioranza, poiché è la stessa maggioranza che soffre del modo in cui discutiamo questa manovra finanziaria.
Insomma, la discussione che stiamo svolgendo avrà una validità solamente storica e archivistica, poiché né noi né la maggioranza possiamo interferire con quanto il Governo ha stabilito: anzi, non sappiamo neppure quanto di quel che è stato discusso nelle Commissioni riunite rientrerà nel cosiddetto maxiemendamento. Ciononostante, noi discuteremo caparbiamente, dicendo la nostra e dando indicazioni.
Passando alle altre norme presentate in questi giorni – perché è vero che il decreto-legge è stato approvato in meno di dieci minuti, ma il Governo ha provveduto poi a presentare un migliaio di emendamenti – fra di esse vi è anche quella relativa alla cosiddetta Banca del sud, prevista dall’articolo 6-sexies. Vi rendete conto del fatto che questa è una sorta di presa in giro? Non è infatti che nel sud non vi fossero le banche (vi era il Banco di Sicilia, il Banco di Napoli, vi erano e vi sono ancora le banche locali cooperative); il problema è che quel che viene raccolto al sud – le risorse finanziarie, i risparmi dei lavoratori e degli imprenditori, di coloro che operano al sud – per quanto venga incassato da banche al sud (anche oggi le banche del nord hanno senz’altro sportelli al sud), viene gestito da banche che lo portano nei territori del Paese dove si può investire e far prestiti più facilmente: insomma, i soldi dal sud emigrano al nord, come emigrano la manodopera, gli intellettuali e coloro che vogliono affermarsi.
Dunque, questa della Banca del Mezzogiorno è solo una sparata pubblicitaria. E allora: lasciamo perdere! Anch’essa infatti svolgerà lo stesso ruolo.
Sono cinque milioni investiti (che poi chiaramente dovranno essere restituiti), ma in realtà si tratta di cinque milioni buttati, nel senso che si viene a creare una struttura che opererà come operano le altre banche, ossia raccoglierà i risparmi e li porterà, per investirli, al nord. Non abbiamo bisogno di questo, ma di altro! Abbiamo bisogno di intervenire sull’usura bancaria e di intervenire – ma non è con questo strumento che lo si può fare – per portare il tasso di interesse al livello medio nazionale. Nelle quattro, cinque regioni meridionali abbiamo un tasso di interesse che è il doppio rispetto a quello delle regioni settentrionali; è su questo aspetto che dobbiamo provvedere, perché anche al sud si concedano prestiti con i tassi simili a quelli del nord, altrimenti è chiaro che gli investimenti non saranno mai richiamati! È su questo che bisognava puntare, non sulla costruzione di una banca del sud o del Mezzogiorno, che non farà altro che ciò che hanno fatto e fanno le altre banche, ossia raccogliere i risparmi e portarli al nord. Ecco cosa avremmo voluto che si facesse, e forse vi avremmo suggerito di non procedere in tal senso ma di puntare, invece, sulla riduzione del tasso di interesse, che è un tasso di interesse usuraio per le aziende del sud, sia per quelle esistenti, sia per quelle nuove.
Si interviene poi su un punto di cui all’articolo 7, sulla strategia energetica nazionale. Anche su questo aspetto avremmo potuto fornire un contributo, perché la questione energetica interessa tutti – i ricchi ed i poveri – ed è qualcosa che sta strozzando i meno abbienti. Ebbene, si dice che praticamente dobbiamo ricorrere a fonti diversificate – e certamente noi siamo per questo, ossia per le fonti diversificate -, ma lo scopo non è solo quello di ridurre la CO2 o i gas cosiddetti serra. Noi abbiamo bisogno – e questa potrebbe essere la motivazione del ricorso all’energia nucleare – di non essere strozzati da altri Paesi e di non essere totalmente dipendenti dagli altri (questo è un dato, un fatto). Abbiamo quindi sicuramente bisogno di diversificare, ma avremmo potuto dare un contributo nel merito di questo argomento che interessa tutti. Se infatti andiamo a vedere la riduzione del CO2 o gli accordi internazionali che si fanno sul CO2 e sulla questione dei gas inquinanti, vedremo che è vero che l’Italia produce gas inquinanti e, soprattutto, i gas cosiddetti serra (e quindi CO2 e assimilabili) in quantità superiori a quanto è stato affermato nel Protocollo di Kyoto (siamo infatti fuori del 18-19 per cento rispetto al contributo assegnatoci). Vorrei anche richiamare l’attenzione – parlo a titolo personale, poiché non ne abbiamo ancora diffusamente discusso nei nostri gruppi parlamentari – sulla questione del federalismo fiscale: io sarò per il federalismo, ma per un federalismo complessivo, compreso quello fiscale (il federalismo per gli investimenti, il federalismo per i debiti ambientali, il federalismo complessivamente considerato, non soltanto quello fiscale). In questo caso, sappiamo da dove proviene la CO2 in Italia: alcune regioni ne producono dieci, altre non ne producono affatto oppure, addirittura, contribuiscono con l’ossigeno. E allora diciamo che i debiti o i crediti ambientali – dipende dal punto di vista – bisogna realizzarli non solo tra le nazioni, ma anche all’interno, tra le regioni, il che significa che si applica un principio, anche in questo caso, di federalismo.
Pertanto, è chiaro che non potremmo che essere soddisfatti se si realizzasse un’operazione di tale genere, ossia se si riducesse l’inquinamento nel nostro Paese. Ma tale obiettivo, evidentemente, deve prevedere anche un momento di uguaglianza, di trattamento simile tra nord, centro e sud.
Nell’articolo 8 si parla di una legge obiettivo per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi. Certo, anche qui bisogna stare attenti. Siamo d’accordo ad indagare e ampliare la produzione nazionale. Ma perché non ci siamo confrontati su tale argomento? Siamo d’accordo su tale punto, ma è chiaro che lo sfruttamento del gas nell’alto Adriatico è collegato alla possibilità di subsidenza, ossia l’abbassamento del terreno nelle Tre Venezie. Di fatto la possibilità e i rischi di subsidenza non si possono notare in qualche giorno. Pertanto, qui sarebbe stato necessario molto tempo per discutere, per svolgere delle prove e per andare in questa direzione. Dunque, perché inserire tale argomento all’interno di un decreto-legge ossia un provvedimento connotato da necessità e urgenza? Necessità certo, ma urgenza no! Non vi è urgenza per compiere un’attività che poi richiederà anni di verifiche, di misure e di approfondimenti.
Ma procediamo oltre. Vi è una questione che viene affrontata in modo diverso da quanto era stato stabilito da tutte le parti sociali e dal Governo in precedenza, vale a dire il piano casa. Si era organizzato un tavolo a Palazzo Chigi dove erano presenti tutti. Non si può stravolgere da un momento all’altro il risultato di quel tavolo perché la questione del piano casa è importantissima. La discontinuità in questi casi non serve. Ora abbiamo la necessità di attuare un piano casa che favorisca i più deboli. Vi era un piano casa impostato dal Governo Prodi, ma in realtà si trattava di un piano casa del Governo Prodi solo per modo di dire, perché era stato condiviso anche da tutte le parti sociali, ossia sindacati, imprenditori, proprietari di case e affittuari. Tutti insieme avevano stabilito un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica finanziato dall’articolo 21 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito dalla legge 29 novembre 2007, n. 222. Questo, quindi, era destinato prioritariamente a garantire il passaggio da casa a casa ai soggetti deboli sottoposti a procedure di sfratto. Si è trattato di un azzeramento, un vero e proprio scippo di altre risorse.
Purtroppo, non posso soffermarmi su ogni aspetto perché altrimenti si tratterebbe di demolire esattamente ciò che si è stabilito nel piano casa in esame. Avremmo potuto costruire qualcosa insieme, forse anche in questa occasione, e non da soli. Infatti, avremmo potuto audire in Commissione le associazioni che si sono sedute sul tavolo della Presidenza del Consiglio. Avremmo potuto sicuramente tenere presente le loro proposte.
Non abbiamo bisogno di una riproposizione nei medesimi termini della legge finanziaria 2006, vale a dire dell’alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica sulla quale grava ancora un giudizio di incostituzionalità pronunciato dalla Corte. Avremmo potuto arrivare ad un piano casa fattibile e accettabile dalle parti sociali.
Con riferimento all’articolo 12 è stata abrogata la revoca delle concessioni di RFI a TAV (treno alta velocità) che datano 15 ottobre 1991 e 16 marzo 1992 su almeno quattro tratte. Ma vi rendete conto che, facendo un simile regalo ai concessionari, senza gara e a tanti anni di distanza, si danneggiano gli utenti? Avremmo potuto ottenere condizioni migliorative. Sono passati tanti anni; successivamente è stata introdotta anche la legge obiettivo e, quindi, avremmo avuto la possibilità di rimettere sul mercato la questione della costruzione di queste tratte di alta velocità ferroviaria. Voi, invece, avete rimesso in vigore, dopo 16 anni, le stesse convenzioni senza alcuna modifica.
Bene, avremmo potuto essere contrari; ma avremmo potuto essere favorevoli all’articolo successivo che si occupa della vendita del patrimonio degli IACP, della possibilità per gli affittuari di diventare proprietari e della costruzione di nuovi alloggi per chi ne ha urgenza. Certamente sul tema avremmo potuto discutere bene e avremmo voluto fornire il nostro contributo. Ma dov’era l’urgenza?
L’articolo 14 riguarda Expo Milano 2015. Ma vi rendete conto – siamo veramente ridicoli – che per ogni avvenimento importante internazionale (questo è un grande avvenimento che non riguarda solo Milano) e a sette anni di distanza viene nominato un commissario? Cosa c’entra? In sette anni con le leggi ordinarie e con le strutture normali (della città di Milano, della regione Lombardia, dello Stato) si sarebbe potuto mettere a punto un lavoro per realizzare opere indispensabili senza derogare alle leggi italiane.
Stiamo prendendo una brutta piega e non è questo l’unico caso. In tutti i casi in cui c’è un grande avvenimento non siamo capaci – almeno pensiamo di non esserlo o lo si fa per altri motivi -, deroghiamo alle leggi e nominiamo i commissari. Il Paese è sempre commissariato: non è possibile! Pertanto, ritengo che anche quella del commissariamento sia una questione inutile perché ogni volta si risolve nella deroga di leggi indispensabili e, alla fine, deve intervenire la magistratura, come succede sempre purtroppo.
Vengono previste delle deroghe, poi non si conoscono i limiti di queste deroghe, il commissario esagera – questo succede sempre – e poi vengono fuori le magagne e deve intervenire la magistratura. Ingolfiamo anche la magistratura! Ben venga, però, perché evidentemente i commissari derogano anche alle norme non derogate, sentendosi sicuri di poter fare quello che vogliono in quanto commissari.
Invece, con riferimento all’articolo 14-bis, avremmo potuto dare un nostro contributo sulle infrastrutture militari da dismettere: avremmo potuto collaborare, fare audizioni, cercare di arrivare a un risultato il più positivo possibile per utilizzare queste strutture destinandole alla riallocazione delle esigenze di funzionamento delle strutture militari; avremmo potuto aiutare le caserme dei carabinieri e compiere un’opera di questo genere. Invece, evidentemente, conosce tutto il Governo, sa tutto il Governo e non è stata fatta nessuna audizione, nessuna discussione ed il Parlamento è stato tagliato fuori.



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