Intercettazioni, vertice Pdl nuova frenata sulla stampa


Il sottosegretario Usa: riscosso successi con gli ascolti. Bossi: non si parla di fiducia. Maroni: nessun danno alle indagini dalla nuova legge

di LIANA MILELLA

ROMA – La svolta ci sarà nelle prossime ore, stasera o domattina al massimo, quando i responsabili dei due gruppi del Pdl del Senato e della Camera, si riuniranno per decidere una strategia comune sulle intercettazioni. Per procedere uniti e cambiare il testo subito, già nel passaggio in aula. Evitando scontri tra Berlusconi e Fini, e soprattutto una bacchettata del Quirinale. Il Cavaliere ha dato il via libera alle modifiche, pur raccomandando di “cedere il minimo indispensabile”.

Due, per ora, sono certe: la riduzione da 250 a 100 o addirittura a 50 il valore minimo delle quote che un editore sarebbe costretto a pagare se un giornalista pubblicasse i testi integrali degli ascolti. Parliamo, in euro, di circa 25-26mila euro lasciando invariato il tetto massimo di 465mila, il che potrebbe produrre un ulteriore braccio di ferro. Un cambiamento già ipotizzato in commissione Giustizia, avallato dal relatore Roberto Centaro, poi rinviato per uno scontro tra i poli. Quindi la variazione più importante, il ripristino della frase voluta alla Camera da Giulia Bongiorno e poi soppressa al Senato per volontà del Guardasigilli Alfano – “di tali atti è sempre consentita la pubblicazione per riassunto” – che salverebbe il diritto di cronaca.

Questo, e non solo. Perché ormai, mentre infuria il dibattito sulla fiducia e sull’utilità della legge, la road map è fissata: stanotte la commissione Giustizia licenzierà un testo che, subito dopo, sarà rimaneggiato per un restyling che lo renda votabile per i finiani e firmabile per il Quirinale. Il presidente del Senato Schifani ha assunto la veste del mediatore e vorrebbe garantire “il più ampio confronto possibile su temi così delicati”.
La partita è difficile. Perché riguarda il diritto-dovere di informare e la necessità di non distruggere uno strumento fondamentale per le indagini. Di cui, ancora ieri dopo l’exploit di venerdì, diceva il sottosegretario alla Giustizia Usa Larry A. Breuer: “La lotta al crimine ha avuto grandi successi con l’uso delle intercettazioni. Stati Uniti e Italia sono due paesi che hanno raggiunto grandi risultati. Spero che non accada nulla che possa danneggiare queste relazioni”. Anche se Schifani e il ministro dell’Interno Roberto Maroni parlano di “incidente chiuso”, la sostanza resta perché Breuer ripete quello che sostengono tutti gli esperti: la legge attuale è buona e non va distrutta. Ma Maroni continua ad assicurare che la lotta alla mafia non ne risentirà. “Certamente” ci saranno altri buoni risultati.

Solo lui e Alfano ne sono convinti. I poliziotti, ancora ieri l’associazione dei funzionari e il Siulp, si dissociano. E nella maggioranza i finiani sono fortemente preoccupati. Carmelo Briguglio scriveva ieri sul sito Generazione Italia, l’associazione presieduta da Italo Bocchino che si riconosce nelle posizioni del presidente della Camera: “Siamo contro l’espatrio delle notizie. Sarebbe un grave errore politico mettere la fiducia”. Bossi dice che “non è stata ventilata, non se n’è parlato in consiglio dei ministri”, ma con la fiducia, per mettere a tacere le perplessità dei finiani, il testo fu votato alla Camera l’11 giugno 2009.

Adesso il tormentone si ripete mentre il dissenso cresce. Come quello dell’Mpa, gli autonomisti di Lombardo. Il portavoce Aurelio Misiti boccia la fiducia (“Se la mettono votiamo no”) e chiede modifiche a un testo che “aprirebbe un varco amplissimo a mafiosi e terrorismo”. “Scritto da Riina e Provenzano” per il Verde Bonelli. Un “fermatevi” arriva da Pier Ferdinando Casini: “Non avallate una legge come risposta alle inchieste giudiziarie di questi giorni e che tutela il malaffare”. Dario Franceschini conferma “la battaglia durissima” del Pd contro la riforma. Che se fosse in vigore, per Nichi Vendola, il governatore pugliese, non consentirebbe più di svelare “le voci di dentro del potere”.



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